BURIDANO E IL SUO ASINO
 spoil system vs continuity

La storiella di Giovanni Buridano (forse tratta dal De coleo di Aristotele)  narra di un asino che, seduto tra due mucchi di fieno, non sapeva decidersi sul quale andare a mangiare, finendo col morir di fame! La si cita riferendosi a chi non sa decidersi tra due opzioni e, così facendo, le perde entrambe. Parabola significa  che bisogna avere il coraggio di scegliere, anche se la decisione si rivelasse meno conveniente nel breve periodo. Nel caso delle scelte in politica, qualunque tipo di politica, ci sono tanti modi di imitare l’asino di Buridano; ad esempio cercando il consenso ad ogni costo, non dispiacendo  uni od altri, assecondando opposte visioni o veti per mantenere una posizione che, lungi dall’essere equilibrata, a me pare equilibrista. Traspongo la morale al caso concreto del governo del sistema delle professioni  e della mia in particolare.

Le ultime elezioni ordinistiche e nazionali e locali (ambedue ormai passate da tempo e per ciò ne parlo) sono state caratterizzate da un’imposta decimazione di gran parte degli esponenti di quel mondo alcuni dei quali, nel tempo, avevano maturato esperienze e competenze utilissime nella gestione dei complessi problemi che ci occupano: molti di loro erano impegnati in  attività collaterali  di studio,  di proposizione che, gioco forza e nel migliore dei casi, hanno subìto uno stop di  molti mesi. Si dirà, è il prezzo da pagare per assicurare un fisiologico ricambio della rappresentanza: bene, non sono d’accordo! Almeno sul termine #fisiologico, perché non c’è nulla di fisiologico o democratico nel buttare a mare competenze preziose e lavoro già fatto mentre lo sono, assolutamente, sulla necessità di garantire il ricambio; tutto sta a vedere come! Le attuali regole hanno permesso che, non raramente, esso si sia  basato sulle appartenenze o convenienze; di più con l’applicazione dello spoil system mutuato (tra le altre cose, non sempre positive) dai sistemi anglosassoni. Quindi è accaduto che energie e competenze eccellenti sono state dismesse perché non vicine alle nuove rappresentanze e altre portate a ruoli di responsabilità per il motivo opposto, a prescindere dall’utilità generale.

Ora,  l’osservazione è questa: può una comunità come la nostra -a me piacerebbe molto fosse così, una comunità-  con gravi problemi incombenti, privarsi di apporti provatamente qualificati? Non si dovrebbe invece perseguire l’efficienza e la velocità di risultato? Faccio questo ragionamento perché, tra alcuni mesi, le elezioni per il Consiglio Nazionale Architetti e poi, a seguire, quelle degli Ordini Territoriali, si affacceranno di nuovo all’orizzonte. Allora non vorrei che, ancora una volta, il mantenimento del patrimonio di esperienze  e di valori maturati dipendesse prevalentemente dai risultati elettorali. Sono convinto che non ce lo possiamo permettere e ci deve essere un modo -c’è sicuramente- per non disperdere queste risorse. Applicarlo  corrisponde  al comportarsi come  una comunità  invece che come una semplice categoria; una differenza  notevole  secondo teorie sociologiche  elaborate tra il XVII secolo e i primi del ‘900 da Hobbes e Tönnies (Chicago School): in una comunità si instaurano, tra  i suoi membri, prevalentemente rapporti empatici che guardano al vantaggio collettivo; in una categoria essi sono  impersonali e fondati sul rispetto aprioristico di regole burocratiche. Noi architetti cosa siamo e vogliamo essere, comunità o categoria?

Arch. Scannella, former president of Ordine degli Architetti Catania 

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